Risposta aperta (e serenamente morbida) a “Veganboy”

di Renzo Samaritani Schneider Ramananda Das RamShyam

Quando la definizione di “fit” inciampa sulla gentilezza

Risposta aperta (e serenamente morbida) a “Veganboy”

1. Il contesto — per chi si fosse perso la puntata precedente

Ieri, con la quiete di chi sorseggia un chai latte e si gode la propria morbidezza da orso yogi, ho lasciato un commento sotto una tua foto before-after:

“Stavi quasi meglio in questa foto che ora, poi ovvio che ognuno ha i suoi gusti.”

Nessuna gara di bellezza, nessuna medaglia da assegnare; era semplicemente un gusto personale espresso con leggerezza.
La tua replica pubblica è arrivata puntuale:

“Aspetta, ora mi hai incuriosito. Hai una tua foto in costume per capire da che prospettiva viene questa affermazione?”

2. Perché la tua risposta è uno scivolone fuori bersaglio

Spoiler: non me ne faccio un problema. Anzi, adoro il mio stato “Buddha-on-the-beach” — vegetariano, pacifico e con l’IMC perfettamente in linea col karma.

  1. Sposta il focus dalla foto alla persona. Io parlavo del tuo look nel tempo; tu mi chiedi di esibire il mio corpo, come se il valore di un’opinione dipendesse dal giro-vita di chi la esprime.
  2. È body-shaming di ritorno. Tradotto: “Se non sfoggi addominali a mosaico, non hai titolo per parlare”. Peccato che la felicità non nasca nel retto addominale.
  3. È una fallacia ad hominem. Un argomento è valido (o meno) per la sua logica, non per la taglia del suo autore.

3. Il mio manifesto anti-shaming

  • Corpi diversi, stessa dignità. Io sono grassottello e mi piaccio così, come mi piacciono anche i grassottelli.
  • Criticare ≠ Umiliare. Dire “preferivo quella vecchia foto” è gusto personale; chiedere “mostrami la tua pancia” è tentare un’umiliazione implicita.
  • Personaggio pubblico, responsabilità pubblica. Più follower = più cura: se la replica normalizza il body-shaming, il messaggio rimbalza pericolosamente.
  • Nessun six-pack obbligatorio. Non tutti lo possiedono e — udite udite — magari non vogliono possederlo affatto. Si può essere felici anche senza: Buddha era radioso e… rotondo.

Non sogno di diventare magro e vegano: sogno di restare felice, curioso, con quella pancetta che fa da cuscino ai gatti quando meditano con me.

4. Lettera aperta a te, caro atleta cruelty-free

Namasté, “Veganboy”.

Il tuo impegno — scolpire bicipiti riducendo l’impronta carbonica — è ammirevole. Proprio per questo la tua risposta strida un po’.

Il six-pack non è un lasciapassare per invalidare chi non lo possiede e neppure chi non lo desidera. La «prospettiva» di cui parli nasce dagli occhi e dal cuore, non dal diametro della vita. Forse il vero muscolo da allenare è l’empatia.

E se proprio vuoi comprendere la mia visuale, immagina un orso yogi che legge le Upanishad sotto un fico, felice della sua morbida pelliccia solare. Eccola, la mia prospettiva.

5. Invito alla community

  • Avete vissuto episodi simili? Non mordetevi la lingua. La parola — ferma, lucida, argomentata — vale più di mille crunch.
  • Allenate la gentilezza. Un ego definito non deve scolpire la propria forma sul corpo dell’altro.

6. Chiusura guru-poetica

“Il loto sboccia anche in uno stagno tranquillo: non teme di non essere una freccia, perché la bellezza non si misura in punte acuminate.”

Che tutti — muscolosi, soffici, vegani o carbonara-dipendenti — possano abitare la propria pelle come casa accogliente, non come arena di giudizio.

CTA finale

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